dolore

Dolore: da cosa dipende?

Il dolore è una sensazione complessa, di difficile definizione. L’associazione Internazionale per lo Studio del dolore (IaSp) lo definisce come “un’esperienza sensoriale ed emotiva associata ad un danno reale o potenziale del tessuto o descritta con termini riferitisi a tale danno”.

Il dolore ha un ruolo fondamentale per la sopravvivenza, svolge la funzione di segnale di allarme rispetto alla necessità di intraprendere un’azione a seguito di un’aggressione o di un danno all’integrità fisica. Tale tipo di dolore, definito acuto, ha pertanto un significato fisiologico adattativo, è in genere di breve durata ed è collegato ad un danno tissutale o ad uno stimolo valutato come pericoloso.

Dolore cronico

Per dolore cronico si intende quel dolore “che si protrae oltre il normale decorso di una malattia acuta o al di là del tempo di guarigione previsto” (IaSp). La Wisconsin medical Society lo definisce come: “dolore persistente, continuo o ricorrente di durata superiore a 6 settimane o di intensità sufficiente a produrre effetti negativi sul benessere del paziente, sui livelli funzionali e sulla qualità di vita”.

A differenza del dolore acuto, non costituisce un segnale della presenza di stimoli nocivi o di danno ai tessuti, ma può determinare pesanti conseguenze sulla vita di relazione e sugli aspetti psicologici e sociali della persona. Al momento non sono disponibili indagini epidemiologiche in grado di definirne la reale portata. Un’indagine condotta in Europa mediante intervista telefonica a 46.000 persone di 15 paesi ha fornito stime di dati di prevalenza, severità, modalità di trattamento e impatto del dolore cronico.

Da tale indagine si evince che circa un quinto (19%) della popolazione adulta europea soffre di dolore cronico; l’Italia si colloca ai primi posti con una prevalenza del 26%, dopo la Norvegia (30%) e la Polonia (27%). Le patologie più frequentemente associate a dolore cronico sono rappresentate da osteoartrite e artrosi, protrusioni ed ernie del disco, cefalee e neuropatie.

Cronicità e mal di schiena

La colonna vertebrale rappresenta sicuramente la sede maggiormente colpita dal dolore cronico. Il mal di schiena costituisce la prima causa di assenza dal lavoro e colpisce nel mondo milioni di persone, soprattutto nei paesi industrializzati; coinvolge dal 60 all’80% degli adulti in qualsiasi momento della vita, rappresentando la ragione principale di ricorso alle visite presso i medici di medicina generale.

Tra i fattori di rischio ricordiamo quelli genetici, il sesso maschile, l’elevata statura, fumo, sedentarietà e sovrappeso. Le cause principali sono rappresentate da protrusioni ed ernie discali, artrosi delle articolazioni intervertebrali (faccette articolari), osteoporosi con crolli vertebrali, patologie reumatologiche.

Il mal di schiena può manifestarsi come un dolore localizzato in un’area specifica della colonna vertebrale (cervicale, dorsale o lombo-sacrale) o presentare un’irradiazione, ad esempio a braccia o gambe; in quest’ultimo caso, il paziente avverte spesso i sintomi del dolore definito “neuropatico”, quali formicolii, intorpidimento, ridotta sensibilità, bruciore o prurito.

Caratterizzare il tipo di dolore percepito dal paziente è fondamentale per stabilire l’approccio terapeutico più indicato. Diversi sono i trattamenti utilizzabili; occorre fare una distinzione tra terapie farmacologiche e non farmacologiche; per quanto riguarda le prime, i farmaci maggiormente utilizzati nel trattamento del dolore cronico sono rappresentati dal paracetamolo nel caso del dolore di lieve entità e dagli oppiacei nel caso del dolore di intensità moderato-severa. In aggiunta ai farmaci succitati, qualora coesista una componente neuropatica, è possibile associare farmaci adiuvanti quali gabapentinoidi e antidepressivi.

Tra i trattamenti non farmacologici annoveriamo le procedure infiltrative e la radiofrequenza. Le terapie infiltrative più utilizzate sono rappresentate da:

  • Mesoterapia: denominata anche intradermoterapia distrettuale; si tratta in particolare di una terapia iniettiva intradermica che, servendosi di aghi sottili e piuttosto corti (4 mm), somministra delle sostanze in grado di risolvere l’evento patologico per cui è stato richiesto l’intervento medico. Questo mix di farmaci viene infiltrato nello strato medio-profondo del derma denominato mesoderma (ovvero la zona immediatamente sotto la cute), da cui prende il nome questa tecnica. La mesoterapia antalgica, è un trattamento utilizzato per alleviare il dolore nei pazienti affetti da malesseri che interessano articolazioni, muscoli e ossa, sia in fase acuta che cronica.
  • Infiltrazioni paravertebrali: vengono così definite le tecniche infiltrative che prevedono la somministrazione di farmaci nello spazio adiacente alle vertebre. Si tratta prevalentemente di tecniche dedicate alla riduzione della sintomatologia dolorosa e spesso prevedono l’utilizzo di cortisonici e/o anestetici o, in alternativa, di ozono. Vengono classicamente eseguite “a mano libera”, ma possono essere effettuate, per una migliore precisione, sotto monitoraggio ecografico. Sono utilizzate principalmente per il trattamento di ernie e protrusioni discali.
  • Radiofrequenza antalgica: viene utilizzata per il trattamento di ernie e protrusioni discali e per l’ipertrofia delle articolazioni intervertebrali; la corrente elettrica utilizzata per tale trattamento viene erogata da un generatore e trasmessa attraverso l’ausilio di un ago o di patch transdermici, determinando nei tessuti attraversati un processo di neuromodulazione o neurolesione.

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