I pazienti affetti da patologie respiratorie croniche sono più vulnerabili all’azione dei virus in generale e del covid-19. Hanno maggiori probabilità di sviluppare una infezione polmonare. La diffusione principale del virus avviene per via respiratoria attraverso goccioline che vengono emesse quando si parla, si tossisce e si respira a distanza ravvicinata, anche se è stata segnalata una trasmissione virale da contatto diretto con superfici.
Nei pazienti affetti da malattie respiratorie come enfisema polmonare, BCPO, asma bronchiale e fibrosi polmonare è grande la preoccupazione di contrarre il covid-19. È importante innanzitutto che questi pazienti continuino ad assumere regolarmente i farmaci prescritti, specie quelli inalatori e che si affidino ad uno specialista che possa guidarli con l’aiuto di indagini diagnostiche e strumentali.
Trascorsi alcuni mesi dall’insorgenza della pandemia da covid-19 è lecito trarre le prime conclusioni statistiche sulla compromissione respiratoria che il virus ha lasciato a livello polmonare nei pazienti che hanno contratto una polmonite interstiziale.
A livello del parenchima polmonare si possono osservare alterazioni fibrotiche che alcuni autori ipotizzano essere presenti nel 30% dei casi e questo può comportare la presenza di insufficienza respiratoria. La diagnosi si sviluppa attraverso una accurata anamnesi con l’interrogazione del paziente (quali sono i sintomi, la provenienza geografica, i contatti recenti) e l’esame obiettivo toracico a cui fa seguito una eventuale radiografia del torace. Se necessario bisogna effettuare una tac ad alta risoluzione dove si possono osservare dettagli del parenchima polmonare. Entrambi gli esami forniscono al medico le indicazioni sia sulla estensione della patologia che sulla sua gravità.
Le prove di funzionalità respiratoria sono importanti per valutare i valori degli indici ventilatori. Ed è indispensabile la misurazione della saturazione ossiemoglobinica e l’emogasanalisi, che misurano la concentrazione di ossigeno e di anidride carbonica nel sangue arterioso.
Le conseguenze del contagio possono essere variabili e passano da un comune raffreddore ad una sindrome pseudo influenzale caratterizzata da cefalea, mialgia, tosse secca e febbre, fino ad evolvere nella polmonite interstiziale con compromissione degli scambi gassosi.
La polmonite interstiziale da coronavirus è caratterizzata da un diffuso danno alveolare e dalla infiltrazione di cellule infiammatorie (macrofagi, linfociti e granulociti neutrofili) nell’interstizio polmonare. Esso è un piccolissimo spazio anatomico che si trova negli alveoli. Nei casi più complessi, queste cellule liberano numerosi fibroblasti che depositano collagene con la diffusione di radicali liberi dell’ossigeno che hanno la capacità di distruggere gli pneumociti.
Successivamente le pareti degli alveoli diventano più spesse, gli spazi aerei vanno incontro a collasso e i capillari si restringono con la possibilità di sviluppare trombi nelle piccole arterie.
Secondo l’omS l’80% delle persone colpite da covid-19 guarisce senza necessità di trattamenti specifici, il 14% rischia di sviluppare forme più acute dell’infezione mentre circa il 5% va incontro a difficoltà respiratorie anche severe.
Trattamento:
Il trattamento dell’infezione da covid-19 dipende dalla sua gravità.
Le forme asintomatiche o lievi non necessitano di trattamenti specifici e l’unica raccomandazione è quella di un rigoroso isolamento domiciliare. Nelle forme moderate vengono somministrati farmaci antipiretici in associazione ad alcune categorie di farmaci che si sono dimostrati efficaci, anche se parzialmente, contro il virus. Mentre nei casi più gravi in cui l’infezione sviluppi una insufficienza respiratoria è necessario un supporto di ossigeno e, qualora non fosse sufficiente, si utilizzano sistemi di respirazione assistita, come ventilatori polmonari e CPAP.
Nel prossimo futuro sarà necessario contrastare questa “eredità” lasciata dal virus con strumenti adeguati. Risulta fondamentale che si abbia la possibilità di seguire i pazienti nel tempo con follow-up mirati che comprendono lo studio della funzionalità respiratoria, la tac ad alta risoluzione e il controllo degli scambi gassosi.
È importante intervenire precocemente nella fase diagnostica, in quanto effettuare una diagnosi clinico-radiologica il prima possibile permette di inserire subito il paziente in un protocollo idoneo di cura. È, inoltre, indispensabile una corretta gestione dell’insufficienza respiratoria e un controllo delle eventuali sequele delle alterazioni del parenchima polmonare a medio e lungo termine quali esiti fibrotici e bronchi ectasie. Il tessuto fibrotico neoformato, infatti, contribuisce a far perdere elasticità ai polmoni, diminuendo la capacità degli scambi gassosi e facendo aumentare la dispnea anche per sforzi lievi e aumentando le resistenze alla circolazione sanguigna del circolo polmonare favorisce l’instaurarsi del cuore polmonare cronico. I pazienti colpiti da covid-19 devono essere innanzitutto identificati, trattati e infine, se necessario, supportati affinché possano tornare a fare ciò che era nelle loro possibilità prima della malattia.
La riabilitazione respiratoria è uno strumento di estrema importanza da sfruttare, soprattutto in questo momento in cui oltre 35.000 persone si apprestano a superare l’infezione da covid-19, tenendo conto che in molti di questi pazienti la malattia ha messo a dura prova la forza e l’efficienza della muscolatura respiratoria.
In attesa di un vaccino anti SarS-cov-2 sarebbe meglio evitare l’influenza e altre malattie con sintomi simil-covid.
Nonostante non si abbia la garanzia di una protezione completa dal contagio, il vaccino antinfluenzale riduce notevolmente la frequenza di complicanze e ricoveri. Le persone più “a rischio” di evoluzioni sfavorevoli dell’influenza, infatti, sono anche quelle più esposte agli esiti gravi della covid: anziani o persone con malattie croniche pregresse.
È inoltre fortemente raccomandata la vaccinazione anti-pneumococcica; le infezioni respiratorie possono essere causate anche da batteri, il più comune dei quali è lo pneumococco (Streptococcus Pneumoniae), principale responsabile delle polmoniti negli adulti.