La depressione post-parto: come riconoscerla

È ora che si incominci a parlare della depressione post-parto, ossia di una situazione patologica che può essere anche molto grave, portandola fuori dall’area nascosta in cui per tanto tempo è stata, e inquadrandola nel ciclo della vita, o ancora nella possibilità che l’essere umano, in questo caso la donna, si trovi in una situazione dolorosa anche quando vive un momento che è dipinto come felice.

Partiamo da quello che si dice di solito alle mamme: che la gravidanza è il periodo più felice della vita di una donna, che in gravidanza non ci si ammala di depressione perché gli ormoni ci proteggono, che le mamme sanno istintivamente come si fa a crescere un bambino, che le mamme riconoscono ed amano immediatamente il proprio bambino. Con questo bagaglio culturale, le mamme si trovano ad affrontare la realtà dei fatti. Passiamo ora a quello che le mamme pensano, ma che non dicono.

Quante donne sono colpite dalla depressione post-parto?

Una delle cose più comuni è: “La più grossa bugia che mi hanno detto sulla maternità è che i figli ti ripagano di tutto”. I figli ripagano, ma non di tutto. La convinzione che sia sufficiente avere un figlio per mettere a posto questioni irrisolte e sentirsi appagate e felici è falsa. Altra tipica affermazione è questa: “Non volevo stare da sola con mia figlia appena nata perché in quei momenti avevo paura di urlarle o di farle del male”. Oppure: “Ero così esausta, stanca e sfibrata, che un pianto ininterrotto di due ore, di altre due ore, non mi avrebbe fatto rispondere di me. Per questo portavo spesso la bambina da mia madre”.

Ecco, perciò, che prima di tutto dobbiamo sfatare alcuni miti sulla maternità, e renderci conto che nella società attuale certi luoghi comuni non solo sono inutili, ma anche dannosi. Nella mia esperienza con le mamme sia nella Ambulatorio dedicato alle neo mamme della Aulss dove lavoro, che nei Punto di Ascolto dell’Associazione ci sono delle domande ricorrenti e così ho pensato che potesse utile partire da queste domande e provare e dare delle risposte il più possibile chiare anche se ovviamente non esaustive.

 La letteratura dice che la depressione post-parto, con una prevalenza del 10-15%, è la terza causa di patologia dopo la gestosi e l’ipertensione. Più del 50% delle depressioni post-parto non viene diagnosticato. Ciò significa che alcune mamme convivono con questo disagio anche per tre o quattro anni.

Quali sono i sintomi?

Nella depressione post-parto, oltre all’umore deflesso e al non riuscire a fare le cose, come succede nelle altre depressioni, che possono colpire chiunque di noi, uomini o donne di qualsiasi età e di qualsiasi estrazione sociale, ci sono alcuni sintomi caratteristici. Il primo è l’ansia molto intensa, con rimuginazione ossessiva, cioè il fatto di pensare continuamente “Non sono capace”, “Non vado bene”, oppure “Il bambino non sta bene”, essere cioè continuamente preoccupate.

Altro sintomo è dato dai disturbi del sonno, cioè dal fatto di non riuscire a dormire neanche quando il bambino dorme, perché si è in una condizione di allarme continuo, si convive con la paura che qualcosa possa accadere da un momento all’altro. Quando compaiono questi sintomi bisogna “drizzare” le antenne.” In effetti, tutto dipende dal fatto che i sintomi abbiano o no una remissione spontanea nelle prime tre settimane di vita del bambino.

Entro le prime tre settimane, infatti, l’80% delle donne ha questi sintomi, si chiama Maternity blues. In genere ciò è legato ai cambiamenti fisici-ormonali. Il livello di estrogeni e del progesterone diminuisce drasticamente nelle ore successive il parto, creando un disequilibrio emotivo nella donna. È anche presente la spossatezza dovuta al travaglio e al parto o alla necessità di riprendersi dopo un intervento chirurgico, in caso di parto con taglio cesareo. Ma se dopo circa tre settimane questi sintomi non scompaiono, anzi peggiorano, allora bisogna preoccuparsi.

Depressione post-parto: quando preoccuparsi

La depressione post-partum insorge generalmente tra la 6°- 8° settimane dopo il parto e può prolungarsi oltre i sei mesi. Bisogna preoccuparsi se la mamma dice che il bambino è per lei un peso eccessivo, se dice di non essere capace, e se non riesce a entrare in empatia con il bambino. Può manifestarsi una avversione per il bambino o la paura di stare sola con lui, proprio perché la mamma avverte che è incapace di fare quello che dovrebbe.

In alcuni casi, in effetti, questo “dovrebbe” è eccessivo, nel senso che la mamma in questione, in realtà, fa tutto quello che deve, ma lo fa in modo meccanico, non vissuto, e con tanta fatica, può comparire il pensiero di fare del male a sé stessa o al bambino. Il punto è che la mamma arriva a questo tipo di pensieri dopo un lungo periodo di sofferenza, durante il quale non è stata ascoltata e non ha avuto l’aiuto giusto.

Depressione post-parto: come intervenire

La depressione post-partum è un disturbo che può essere curato in modo efficace e anche relativamente rapido. Già dopo le prime settimane, dall’inizio delle cure, vi sono dei miglioramenti evidenti soprattutto nel sonno e appetito e dopo circa un mese anche dell’umore. Le terapie devono essere integrate, quindi, terapia farmacologica e psicoterapica (individuale, di coppia o di gruppo). Secondo le linee guida internazionali, la terapia farmacologica dovrebbe proseguire per almeno un anno, anche in assenza di sintomi importanti.

La mia personale esperienza è che è sempre opportuna una valutazione caso per caso. Tutti gli interventi psicoterapeutici hanno lo scopo di prevenire la cronicizzazione del disturbo, ridurne la gravità, la durata e gli effetti sul bambino e, non ultimo, favorire il recupero delle cure materne che la depressione può aver reso difficile. I miei familiari cosa possono fare per aiutarmi? Il partner, la famiglia di origine, e gli amici possono tutti fare qualcosa per aiutare la neo mamma.

I nonni possono fare molto, assumendo un ruolo di riferimento per i neo genitori e il bambino con discrezione e rispetto e modulando i loro consigli, possono proporsi per fare compagnia, per accudire in alcuni momenti il neonato e per aiutare in alcuni impegni quotidiani(ad esempio piccole commissioni).Importante è comprendere ed accettare i sentimenti di negatività che possono essere espressi dalla neo mamma, senza colpevolizzarla, favorendo invece l’espressione delle sue difficoltà e rinforzando le sue risorse senza banalizzare il suo disagio.

A cura di di Dott.ssa Rossana Riolo, psichiatra e psicoterapeuta

Coordinamento: Via Velletri 10 Roma

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