LA VITA PRENATALE E L’IMPORTANZA DELLA
RELAZIONE MADRE-BAMBINO

La gravidanza è un momento significativo nella vita di una donna e rappresenta il momento in cui è chiamata a fare spazio dentro di sé all’arrivo di una nuova vita con la quale entrerà subito in contatto e che porterà con sé per i successivi nove mesi. Nove mesi ricchi di tante domande, aspettative, timori e curiosità. I giorni della gravidanza si accompagnano a cambiamenti graduali che riguardano il corpo e la mente della donna nella loro complessità, rappresentano il tempo necessario alla maturazione e accrescimento fetale e allo stesso tempo necessario anche alla maturazione delle competenze genitoriali che sono alla base del legame madre-bambino.

La relazione della mamma con il bambino inizia ancor prima della sua nascita, con le sue prime fantasie sul “bambino che sarà”, sul bambino immaginario che diventa depositario di tutti i sogni e a volte delle molte paure che accompagnano la gravidanza. Il periodo della gestazione è caratterizzato da un intenso lavoro psichico della mamma e del papà, che coinvolge la loro relazione reciproca, le loro fantasie sul figlio, le loro relazioni passate con i rispettivi genitori. Questo lavoro psichico consente loro di costruire un “grembo psichico” e non solo fisico, di creare uno spazio mentale in cui accogliere il nascituro, e di mettere le basi per l’incontro con il “bambino reale”, e non più solo fantasticato, al momento della nascita.

Il legame che si crea fin dal concepimento viene definito da Cranley (1981) “attaccamento prenatale”, quel particolare legame che i genitori sviluppano durante le fasi della gravidanza verso il bambino che attendono: manifestazioni comportamentali che rappresentano interazione e coinvolgimento affettivo verso il feto, un insieme di pensieri che i futuri genitori hanno nei confronti del proprio bambino e che aumenta di intensità con il procedere della gravidanza. Attualmente tale costrutto viene studiato nell’ipotesi che la qualità dell’investimento affettivo prenatale influisca sui processi della gravidanza, del parto, sullasuccessiva relazione di attaccamento genitori bambino e sullo sviluppo psichico infantile. Vi sono alcuni fattori che possono influenzare il rapporto prenatale madre-feto, in particolare quanto la gravidanza sia stata desiderata e cercata, l’umore della donna nelle fasi della gestazione, l’integrazione nel sistema socio-familiare e l’andamento della gravidanza stessa. Trascorrere una gravidanza in piena salute aiuterebbe a sviluppare pensieri positivi, contribuendo allo sviluppo di un attaccamento prenatale sereno e profondo.

Il feto vive in un intenso scambio di relazioni sensoriali con la mamma e accanto ad esse vi è una continua interazione non solo nutrizionale ma anche biochimica ed immunoendocrinologica attraverso la placenta. Studi recenti hanno inoltre dimostrato che il Microbiota materno (la popolazione batterica intestinale della mamma) determina le caratteristiche del Microbiota fetale trasmettendogli delle caratteristiche fondamentali per la futura vita post-natale. Il bambino in utero percepisce già le emozioni della madre e tra di loro si crea pian piano una comunicazione che avviene non soltanto per via ormonale, ma anche per via empatica e ne costituisce la base relazionale futura. Il feto è inoltre sensibile ai rumori, alle vibrazioni, ai suoni e soprattutto alle emozioni che prova la mamma che lo porta in grembo. In particolare, verso la fine del terzo mese, quando gli organi interni ed esterni iniziano a formarsi, aumenta la capacità del feto di rispondere agli stimoli provenienti dall’esterno, creando così un primo legame con l’ambiente che lo circonda.

Verso il secondo trimestre di gravidanza, la madre inizia ad avere una rappresentazione ben definita del “bambino in pancia”, comunica con lui, si tocca la pancia alla ricerca di quella “sintonizzazione affettiva” che Winnicott ha definito “preoccupazione materna primaria” (Winnicott, 1958). Questa particolare forma di investimento affettivo si consolida durante il periodo della gravidanza (ponendosi alla base del rapporto futuro dei genitori con il proprio bambino) e rappresenta il particolare stato mentale della mamma che le permette di identificarsi empaticamente con l’infante e di rispondere quindi ai suoi bisogni. Studiare l’attaccamento prenatale tra genitori e feto è oggi possibile anche grazie all’utilizzo di nuovi strumenti di indagine che hanno verificato come il feto non sia assolutamente un essere passivo e isolato dal resto del mondo dal momento che, in particolare nel secondo e terzo trimestre della gravidanza, gli organi di senso e i centri cerebrali si sono già costituiti e sono funzionali e attivi.

L’organo di senso che si sviluppa per primo è il tatto, e diventa per il feto il primo mezzo per poter entrare in contatto con la parete uterina e quindi con la sua gestante. Troviamo spesso racconti di mamme che si toccano la pancia, la stimolano, proprio per vedere se il piccolino reagisce a tale stimolazione, come i primi calcetti. È dimostrato infatti che il feto è in grado di percepire se qualcuno o qualcosa tocca il ventre materno e può reagire a seconda che la stimolazione sia gradevole o meno. Il feto è sensibile anche ai rumori corporei della madre e ai suoni del mondo esterno. Attraverso la tecnica della misurazione del battito cardiaco è stato dimostrato che il feto riconosce la voce materna, poiché a tale stimolo reagisce con una decelerazione della frequenza cardiaca (Fifer, Moon, 1995).

La voce e le intonazioni della mamma, alle quali il bambino è esposto durante la gestazione, verranno riconosciute precocemente dal neonato e favoriranno l’acquisizione del linguaggio verbale. Quella voce tanto sentita nel grembo materno sarà per il piccolino una fonte di rassicurazione una volta venuto al mondo. Per questo motivo è solitamente consigliato ai genitori di parlare al feto; l’uso di un linguaggio semplice e affettuoso favorisce lo sviluppo dell’udito, la memorizzazione del linguaggio e accresce lo stato di sicurezza e protezione. La mente del bambino, per potersi svilupparsi adeguatamente, ha bisogno di entrare in contatto con la mente degli altri. La mente e la personalità del bambino si sviluppano e si organizzano attraverso le relazioni, come è ormai confermato dai più recenti studi nei vari ambiti della psicoanalisi, delle neuroscienze e delle teorie dell’attaccamento. Quindi la capacità del caregiver (di solito la mamma, ma in generale la figura di accudimento principale e significativa, che può anche essere il padre, il nonno, ecc.) di costruire degli scambi  interazionali adeguati con il bambino nelle prime fasi della sua vita, andrà a favorire lo sviluppo del primissimo Sé, e metterà le basi per le successive capacità di regolazione degli affetti nonché della futura sicurezza/insicurezza all’interno delle relazioni che svilupperà nel corso della sua vita.

Osservare la relazione madre-figlio ci consente quindi di guardare come vengono poste le fondamenta su cui si costruirà lo sviluppo successivodel bambino: ciò consente di agire anche in un’ottica di prevenzione e di cura al fine di favorire e sostenere lo sviluppo migliore del bambino e del mondo relazionale in cui è inserito. Anche il padre fa naturalmente parte di questo delicato contesto relazionale ed ha un ruolo importante, con
delle peculiarità dovute ad aspetti sia biologici, sia psicologici, sia culturali. La mamma, nei primi mesi di vita, rappresenta spesso il punto di riferimento principale per il piccolo, in quanto solitamente è la persona che si occupa di lui e da cui il bambino dipende in tutto e per tutto. Anche una volta che i figli sono cresciuti, la madre, e più in generale i genitori, dovrebbero rimanere sempre un punto di riferimento: la base sicura a cui i bambini possono tornare.

Per Bowlby, lo psicologo teorico dell’attaccamento, la base sicura è la base da cui un bambino parte per esplorare il mondo e a cui può far ritorno in ogni momento di difficoltà, o in cui ne sente il bisogno. Se la base sicura è realmente tale, i bambini tendono a cercarla in momenti di necessità: pericolo, malattia, dolore, stanchezza o dopo una separazione. Il rapporto che la madre costruisce nel tempo con il suo bambino è quello che poi condizionerà la relazione che avranno anche in futuro. Ovviamente questo vale anche per il papà e in generale per tutte le figure genitoriali o parentali che si prendono cura di un bambino. I primi anni in cui si struttura il rapporto tra mamma e figlio, come accennato precedentemente, costituiscono la base di quello che sarà la loro futura relazione. Il modo in cui la mamma costruisce questo legame influenza anche la personalità del figlio e le sue modalità di relazionarsi con il mondo esterno.

Inoltre, la relazione che si instaura tra genitori e figli nei primissimi anni di vita determina anche l’immagine che il bambino costruisce di sé. Il bambino che vede i suoi bisogni riconosciuti, e poi soddisfatti, si percepisce come un bambino meritevole, che può esprimere le proprie necessità e chiedere aiuto. In altre parole, capisce di poter fidarsi e affidarsi alle persone che si prendono cura di lui. Al contrario, un bambino che vede che i suoi bisogni non vengono riconosciuti, o, seppur riconosciuti, non vengono poi soddisfatti, può sviluppare la convinzione che non è un bambino degno d’essere amato, rispettato e preso in considerazione. Queste dinamiche hanno un impatto sull’autostima e l’immagine di sé, e di conseguenza sul modo in cui il bambino si porrà verso gli altri. Le dinamiche relazionali apprese nel nucleo familiare durante l’infanzia possono essere replicate dal bambino anche nelle relazioni con il mondo esterno, sia nell’infanzia che nelle fasi successive dello sviluppo, cristallizzandosi come modelli relazionali. Nel rapporto tra madre e figlio, uno degli elementi essenziali per favorire un sano percorso evolutivo del bambino, è la sintonizzazione sui bisogni del figlio.

Questo non vuol dire assecondare qualsiasi sua richiesta: non si parla di bisogni pratici, piuttosto di esigenze emotive; su queste bisognerebbe cercare sempre di essere disponibili: necessità di vicinanza, ascolto, attenzione, coccole, amore. Questo accudimento affettivo è imprescindibile per un figlio ed è compito del genitore trasmetterlo al meglio, non solo al momento della nascita del bambino e durante il corso della sua vita, ma, assolutamente, anche durante tutto il periodo in cui il piccolo, crescendo nel grembo della mamma, matura le proprie capacità sensoriali.

A cura di Dr.ssa Elena Stella – Psicologa, Psicoterapeuta, Consulente Artemisia Lab e Fondazione Artemisia

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